Bambini cresciuti: come le esperienze infantili plasmano il nostro essere adulti

11.12.2020
Foto di Sunsetoned da Pexels
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Molti studi hanno dimostrato che le esperienze infantili plasmano il nostro modo di entrare in relazione con gli altri anche in età adulta, vediamo in che modo

Nel precedente articolo ho parlato di quanto le prime esperienze infantili abbiano un impatto sulla costruzione di un particolare stile di attaccamento che contraddistingue ciascuno di noi. Ti ricordo le categorie fondamentali: insicuro evitante, sicuro, insicuro ambivalente, disorganizzato.

Abbiamo già visto come questi stili abbiano un'influenza duratura a causa del costruirsi di Modelli Operativi Interni, ovvero una sorta di schemi, di semplificazioni, che ci consentono di approcciare le relazioni future con un'idea di chi siamo e di cosa aspettarci dall'altro.

Tuttavia, un aspetto da non trascurare è che manteniamo durante tutta la nostra vita, e quindi anche da adulti, comportamenti riconducibili all'attaccamento: prova a pensare a quando ti trovi in un momento di difficoltà, probabilmente tenderai a cercare il sostegno di poche figure selezionate e di cui ti fidi; questo è dovuto all'attivazione del tuo sistema di attaccamento.

Molti studi hanno dimostrato che le esperienze infantili plasmano il nostro modo di entrare in relazione con gli altri; Mary Main ha definito questo "modo" con il termine: stato della mente rispetto all'attaccamento.

Negli adulti è possibile identificare 4 stati mentali prevalenti sulla base di ciò che è stato sperimentato in età infantile, e lo strumento che si utilizza per rilevarlo è un'intervista strutturata chiamata Adult Attachment Interview, in cui si chiede all'adulto di parlare delle proprie esperienze infantili.

Queste le categorie che possiamo trovare negli adulti:

Foto di jeffrey czum da Pexels
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Stato Sicuro/Autonomo: a questa categoria appartengono soggetti che da bambini hanno potuto sperimentare attaccamenti di tipo sicuro, oppure, seppur con un attaccamento insicuro con il proprio caregiver, hanno avuto la possibilità, durante lo sviluppo, di avere figure significative compensative (insegnante, allenatore, parente...). Questi adulti riconoscono l'importanza delle loro esperienze infantili, ne parlano con coerenza e ricchezza di dettagli, non tralasciando gli aspetti problematici. Hanno più facilità a parlare e maneggiare le proprie emozioni (forse perché abituati a sintonizzarsi con i propri caregivers) e a sintonizzarsi con le esperienze altrui, generando con più facilità delle relazioni emotivamente significative.

Foto di Francesco Ungaro da Pexels
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  • Stato Distanziante: questi adulti sono stati bambini con un attaccamento insicuro-evitante, hanno quindi vissuto interazioni relazionali con figure di attaccamento superficiali e inadeguate da un punto di vista emotivo. Faticano ad attribuire un valore alle proprie esperienze infantili, tendendo a normalizzare tutto ciò che hanno vissuto oppure non ne hanno un ricordo. Manifestano spesso una sorta di amnesia selettiva, come se ci fosse un buco di memoria rispetto alle esperienze relazionali precoci, mentre ci sono ricordi anche vividi ad esempio dei giochi o dei compagni delle scuole. Questo meccanismo può essere associato alla mancanza di affettività e di attivazione emotiva legata alle relazioni precoci: non era infatti loro permesso di dare un nome a quelle emozioni tanto paurose, perché sicuri di non avere una risposta attenta dal caregiver sono cresciuti prendendosi essi stessi cura di sé. Semplificando molto, se non nomino non tengo una traccia consapevole di quel ricordo, sebbene queste esperienze lascino un segno in memoria automatica e quindi comunque in grado di influenzare le mie azioni.

Le fondamentali esigenze emotive di queste persone sono profondamente insoddisfatte, tuttavia questa mancanza spesso è negata o ignorata perché per una vita intera hanno fatto "quelli che non dovevano chiedere mai", cresciuti all'interno di quello che può essere definito un deserto emotivo. Sembrano avere fiducia solo in se stessi e sono restii a provare emozioni che li leghino agli altri e allo stesso tempo sono incapaci di mostrare le proprie emozioni. L'essere riluttanti, apparentemente disinteressati e controllanti è un modo per esprimere la loro paura per l'intimità e la dipendenza.

Nella relazione con l'altro possono attuare tre comportamenti distinti, ma che nascono dalla stessa esperienza e nascondono vissuti simili:

  • Comportamenti svalutanti: sono persone estremamente diffidenti e spesso sabotanti le relazioni. Seguendo criteri diagnostici standard vengono definiti "narcisisti". Spesso figli di genitori freddi, distaccati e svalutanti hanno con il tempo imparato a difendersi dal dolore dei bisogni insoddisfatti negandoli e dalle feroci critiche avendo un'immagine di sé gloriosa in contrasto con le inadeguatezze di tutti quelli che stanno loro accanto. Hanno un assoluto bisogno di affetto ma non accettano di entrare in intimità, non permettono a nessuno di risultare importante, facendoli sempre sentire inadeguati
  • Comportamenti idealizzanti: tendenza a idealizzare l'altro in maniera eccessiva e incongrua. Spesso sono figli di genitori molto assorbiti nelle proprie insicurezze, carenti da un punto di vista emotivo e bisognosi di conferme; pur di costruire un legame con loro queste persone hanno imparato a far sentire speciali i propri genitori, e successivamente gli altri, ritagliandosi questo ruolo in cui illusoriamente si sentono meno dipendenti. Usano l'ammirazione per sentirsi a loro volta speciali per qualcuno, anche se questo non permette di entrare in relazione intima e profonda con l'altro, ma consente solo di restare in superficie
  • Comportamenti controllanti: sono persone che sembrano ossessionate dal desiderio di controllare e dalla paura di essere controllati. Spesso sono figli di genitori controllanti e invadenti, che si sono difesi dal dolore prendendo le distanze dai propri sentimenti e trovando strategie per evitare il loro controllo. La relazione per loro è uno scontro di potere per chi detiene il controllo e come nei casi precedenti l'intimità è resa difficile da questa continua sfida difensiva.
Foto di Emiliano Arano da Pexels
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Stato Preoccupato: bambini insicuri-ambivalenti crescono spesso con uno stato mentale preoccupato rispetto all'attaccamento; in queste persone il passato interferisce in maniera significativa sul presente, talvolta anche nella narrazione di episodi del passato raccontati come se fossero vissuti al presente. Il desiderio di intimità è percepito con molta intensità, ma si accompagna ad una sensazione di profonda insicurezza nei confronti degli altri. Sono figli di genitori ambivalenti, molto centrati sui propri bisogni, per cui questi bambini hanno avuto l'onere di mantenere viva la relazione attivando la capacità di monitoraggio constante delle reazioni mutevoli degli adulti. Sono molto soggetti all'influenza delle memorie implicite, ovvero, per semplificare, ricordi che non passano dalla piena consapevolezza ma da sensazioni corporee che generano azioni automatiche. Questo tipo di intense attivazioni possono a volte interferire con alcuni aspetti percettivi (sensazioni) o cognitivi (pensieri) rendendo queste persone meno capaci di regolare il proprio stato emotivo. Appaiono spesso sopraffatti dai sentimenti e in continua e forsennata ricerca della vicinanza degli altri: insicuri, poco consapevoli delle proprie risorse, pensano di non poter farcela da soli e di necessitare della relazione con l'altro per poter vivere. È come se la loro vita girasse attorno alla paura dell'abbandono e questo li rendesse ipersensibili ad ogni segnale dell'altro che possa far presagire un allontanamento. Appaiono molto desiderosi di approvazione e faticano a essere autentici per paura di venire rifiutati (ricordiamo che in infanzia autonomia e iniziativa personale sono state disincentivate in queste persone, dedite principalmente a mantenere intatta la relazione con il loro caregiver).

Foto di frank cone da Pexels
Foto di frank cone da Pexels

Stato irrisolto: bambini con uno stile di attaccamento disorganizzato possono crescere con uno stato della mente che viene chiamato irrisolto. Sono persone che hanno vissuto un'esperienza traumatica continuativa, con sentimenti di paura, vergogna, umiliazione e abbandono, che purtroppo riemerge nel presente al di fuori della consapevolezza e si manifesta attraverso la creazione di relazioni malsane, che riproducono le sensazioni sgradevoli, ma familiari, provate durante l'infanzia. Spesso instaurano relazioni tempestose, con frequenti e repentini cambi di umore o con risposte esagerate ad eventi che riattivano memorie dolorose, ma che sono incomprensibili se viste dall'esterno. Liotti, famoso studioso del settore, sostiene che le reazioni ad esperienze così traumatiche possano generare 4 esperienze di sé differenti: queste persone possono viversi come vittime, come carnefici, come salvatori (nel caso del fenomeno della genitorializzazione, in cui i figli bambini si trovano ad accudire i genitori) oppure come cognitivamente incompetenti e confusi.


Questi sono, in maniera molto schematica e semplificata, gli esiti che possono produrre i vari tipi di esperienze infantili. Nella costruzione di un'ipotesi sul funzionamento di una coppia, questi possono essere i primi elementi da prendere in considerazione, ma di certo non gli unici.

Immaginiamo infatti una coppia formata da una persona con uno stato della mente distanziante e da una con uno stato preoccupato: un difficile e doloroso equilibrio fra chi fugge dalla relazione e chi farebbe di tutto pur di mantenerla...

Questo è solo un esempio, per fare comprendere il possibile impatto di queste dinamiche, che tuttavia sono rese ancora più complesse dalla storia familiare di ciascuno, con alleanze, legami e lealtà da mantenere di generazione in generazione.

Portiamo dentro di noi, nella maggior parte dei casi, dei bisogni insoddisfatti che cerchiamo di colmare all'interno di relazioni: una relazione con sé, attraverso l'introspezione e la riflessione sui propri stati interni, con amici e figure di riferimento significative, che possano far sperimentare risposte emotive diverse e far emergere parti di sé trascurate, con un terapeuta con cui esplorare nel dettaglio vissuti, pensieri ed emozioni.

Spesso proviamo a guarire le nostre ferite all'interno della relazione di coppia e questo genera di frequente incomprensioni e malessere: entrambi i partner infatti si illudono di aver trovato il "salvatore", che con il tempo tuttavia manifesta le proprie fragilità tradendo l'immagine iniziale che tanto ci ha attratto.

In un famoso brano Kahlil Gibran parlando del matrimonio dice:

[...] siate uniti, ma non troppo vicini;
Le colonne del tempio si ergono distanti,
E la quercia e il cipresso non crescono l'una all'ombra dell'altro."

Alla luce della teoria dell'attaccamento e delle fragilità che rischiamo di voler far sanare dall'altro acquisisce un senso profondo.

Foto di Pixabay da Pexels
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PER APPROFONDIRE

D.J. Wallin "Psicoterapia e teoria dell'attaccamento" ed. Il Mulino

G.Liotti, B.Farina "Sviluppi traumatici" ed Raffaello Cortina Editore